io

Cari lettori, benvenuti!


Se siete capitati su questo blog probabilmente stavate cercando una fuga dal quotidiano o informazioni sul modo in cui fermare il tempo...


In ogni caso, qui, troverete spunti utili per ragionare sulla mancanza di tempo libero che ognuno di noi denuncia.


Cosa fare quindi? Come porvi rimedio?


Spero di potervi essere d'aiuto



Buona lettura



Fiammetta



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mercoledì 11 luglio 2018

Chrónos e Kairós contro la lattina di Salmone

E poi scopri di aver aperto anche l'ultima lattina di salmone. L'avevi comprata poco dopo il trasloco, anni fa, durante un raid compulsivo al supermercato, quello che serve ad acquistare tutto ciò che può servire che-non-sa-mai-metti-che. Scopri che hai davvero raschiato il fondo (delle credenze) e che hai dato fondo (alle scorte, tutte). Per pigrizia o per stanchezza serale, per eccesso di impegni o di cene fuori. In frigo non rimane che un melone e una serie di vasetti non meglio identificati che contengono paste rosse e piccantissime, roba da "trafficante di capsaicina". Oltre a questo, spezie. Profumi d'altri luoghi, acquistate nei vari viaggi, dimensione poco onirica (e molto tangibile) de "il naufragare m'è dolce in questo mare". Ogni spezia un colore, ogni colore un vasetto, ogni colore un significato, ogni profumo un ricordo. L'immagine si fa viva e il flash back diventa presente. Il passato riaffiora. E poi scopri che quell'ultima lattina di salmone affumicato era anche eccessiva per la fame con cui ti ci sei avventata. L'ho aperta quasi con rassegnazione, come se fosse una concessione al mio cervello e un torto al mio stomaco che solo 12 ore più tardi tornerà a farmi capire che è un pochino pronto, ma con riserva, a considerare un eventuale bolo...che se non arriva va pur bene. Anche quella lattina è un pezzo di passato che riaffiora e chiede di essere affrontato. Il passato non torna mai a caso. Se lo fa è perchè c'è un conto in sospeso. C'è qualcosa di incompiuto e, quando ti si ripresenta, lo fa perchè (forse ancora inconsapevolmente) hai tutti gli strumenti per saldare il conto, guardare il cassiere negli occhi e con sguardo pulito, girare i tacchi e proseguire. Non è certo facile. Affrontare deriva da "fronte". Secondo la Treccani significa "andare decisamente incontro a qualcuno, di solito con intenzione ostile. Esporsi deliberatamente a qualche cosa, anche senza idea di ostilità". Al punto 2 però, affrontare, assume un'accezione più distensiva nei termini facendo trasparire lo ying e il significato diventa "Mettere di fronte; far combaciare, per facilitare la cicatrizzazione". Affrontare il passato quindi potrebbe essere la fase prodromica alla cicatrizzazione? Una sorta di catarsi platoniana? Non vi è catarsi senza conversione, senza la rottura delle catene che impediscono di osservare vie alternative allo "sguardo comune". In parole spicce: i greci intendevano la catarsi come atto di purificazione, una sorta di rinascita. Per raggiungerla lo step basilare era l'introspezione: Seneca lo compiva attraverso la dialettica, Aristotele lo legava a musica (matematica per le orecchie...ecco perchè ai neonati andrebbe fatto ascoltare Mozart anziché Fedez, ndf) e alla poetica (intesa in senso contemporaneo come teatro). Per Platone la catarsi era la "cura di sè", dello spirito, la via di liberazione dell'anima dall'ego corporeo. Oggi si legge troppo poco. Si ascolta ancora meno e ci si scherma dietro alla trasparente menzogna della mancanza di tempo. Ma quando il passato riaffiora, il tempo per lui lo trovi. Fosse solo perchè è lui ad importelo. Ti inchioda al letto, al pc, alle lacrime. Ti lega alle responsabilità e non ti molla fino a quando non avrai risolto tutto. Per quanto tempo? Quanto ci vorrà? Forse una vita intera.. Ma hai qualcosa di meglio da fare, baby? Questo stronzo impertinente del Sig. Passato ha l'ardire di ricordarmi che ho finito anche le scorte alimentari e che è quindi ora di dedicarsi. Passato-Presente-Futuro. Shakerati assieme tornano ad essere Chrónos, in mitologia il Dio del tempo, quello cronologico, che scorre, che si misura attraverso le lancette dell'orologio (che non indosso mai). Esiste solo una dimensione di Tempo? Certo che no. Chrónos è il senso collettivamente condiviso, è la visione comune di Kairós, che invece identifica la faccia soggettiva dello scorrere della vita. Kairós è la versione qualitativa e personale di Chrónos. Kairós è il momento Giusto. Il momento propizio. La specifica situazione. Di fatto Kairós è "il tempo nello spazio", è il movimento del tempo, è l'interpretazione e l'uso che ne facciamo e coincide con l'eterno. Ti ho fregato Sig. Passato: pensavi di avermi messo spalle al muro? Se Kairós è l'eterno e Chrónos "l'orologio", significa che il "per sempre" diventerebbe misurabile nel momento in cui vosse vissuto in modo opportuno, onorevole, riempito di significato e non "in senso assoluto". Significa che se il passato ti si ripresenta e chiede di essere affrontato, lo fa per offrirti la possibilità di vivere un presente degno, vivo, consapevole delle cicatrici, che assumono però la forma di ponte catartico verso la realizzazione della propria anima. Ora controllo la data di scadenza del salmone che ho mangiato ieri sera.

venerdì 9 marzo 2018

La terribile leggerezza dell’essere

La cerchi. La cerchi a lungo. Ti sembra di brancolare nel buio e invece, è solo nebbia. Lei è lì. Le mancano solo le insegne luminose per fartela trovare. Quelle si accenderanno solo se avrai il coraggio di guardarle e, poi, di seguirle. Non sono così sciocche da consumare neon per nulla. Perdere la strada. Abdicare ad un ruolo. Trovare la via più giusta per proseguire a testa alta. La paura ti attanaglia e qualsiasi movimento diventa farraginoso e innaturale. Almeno questo è quello che la mente vuol farci credere. “Onora la vita cercando sempre di essere felice”. Una lezione. Un monito. È arrivato questo pomeriggio: specchio davanti, DNA dietro le spalle, a guardarmi. Onorare la vita. Il regalo più grande che ci sia stato dato. Ha senso sprecarlo costellandolo di paure? Ovvio che no. Ma voi ce la fate a non aver paura? Io no! È l’ignoto a farci paura. È L’ignoranza ad ammantare il cuore di terrore. Beato l’uomo preistorico! Poi ci sono le prove. Quelle siamo tutti più o meno bravi ad affrontarle fino a quando arrivano quelle che ti cambiano la vita, cose tipo: mi distraggo un attimo e rimango incinta. Mi distraggo un attimo, bacio la guancia di un amico a commiato e chi guarda dall’altra parte della strada, con angolazione diversa, vede lingue accartocciate e relazioni clandestine. (Sono solo esempi, per carità). Cose tipo: sei davvero sicura di voler programmare il viaggio della prossima estate? Che ne sai che domani mattina incontri l’uomo della tua vita e l’unica cosa che vorrai la prossima estate sarà guardarlo mentre ti prepara un Martini ghiacciato sulla terrazza di casa..che ne sai? E allora? Allora vivi! Vivi senza freni. Vivi consapevole che se sorridi e doni agli altri anche solo un respiro della tua giornata, hai già costruito un pezzetto di paradiso in terra. Arriva il tempo in cui avresti voglia di tornare a casa ma continui a viaggiare. Arriva anche quello in cui, al contrario, vorresti continuare a viaggiare ma sei inchiodata al divano dal terrore di agire. Vi siete mai chiesti perché Peter Pan, uno dei bambini perduti, non avesse paura di nulla, nemmeno di Capitan Uncino? Perché non aveva nulla da perdere. Non una famiglia, non un amore, non un impegno quotidiano. Non aveva nemmeno un’ombra. Quindi non esisteva, penserete voi! E invece no. Esisteva eccome! Era un’anima. Era l’anima della leggerezza del vivere. Volava sulle preoccupazioni, sulle cattiverie, sulle angherie. Faceva divertire i suoi compagni, donava sorrisi e, con Trilli, polvere magica, capace di far volare anche i pachidermi. Leggerezza. Donava leggerezza. Anche in amore. Quindi? Vivere leggeri, sorvolando la superficie, non deve per forza essere interpretato come “superficialità”. Non lo è! È una prova difficilissima! Ci avete mai provato? Fatelo: difronte ad un problema, provate a respirare, a tirare dritto, a buttarvi dentro ad una vertigine che danza, al di là del tempo. Vedrete che cadranno nel vuoto tutti i segnali che avete seguito per trovare la strada giusta. Provate, per un istante, ad essere solo anime, in continuo mutamento, estese nell’immensità. “Amore? Hai pagato la bolletta?”... “.....!!!! %#$£¥...tesoro scusa, non ho fatto a tempo!” (Stavo volando dentro la mia cazzo di vertigine e li la leggerezza non mi opprimeva)

mercoledì 7 marzo 2018

IL TACCO NELLA BORSA

In finanza spunta il fattore T. Archiviate le zucchine (fattore Z), incoronate durante gli anni di crisi dagli economisti come oracoli con il potere di spiegare la variazione dei prezzi al dettaglio, è la sociologia della moda ad offrire al mercato finanziario un inusuale strumento per misurare la stabilità dell’economia globale. Compare il fattore T (tacco) e l’attenzione si sposta su altezza e larghezza del feticcio femminile, giudicato valido indicatore della propensione alla spesa delle famiglie. Lo spunto arriva direttamente da Roland Barthes, padre dello strutturalismo e della semiotica, che, per primo, libera la moda dall’etichetta “frivola” e le conferisce il ruolo di “specchio collettivo del sentiment politico e finanziario”. La moda non evolve. Cambia. Ogni anno. Ed è un meccanismo tipico della società di massa, che si alimenta con il mercato del desiderio e a sua volta lo nutre, tenendo conto dei macro mutamenti sociali. Il post-crisi in cui viviamo, e le stesse passerelle di settembre, sono caratterizzate dalla presenza dei “Kitten heels”, il tacco gattina, sottile e alto non più di 4,5 centimetri, chiaro riferimento agli anni ’60 e omaggio ad Audrey Hepburn, regina dei tacchetti. In questo modo gli stilisti, ancora una volta, interpretano il clima di incertezza e di indecisione che regna sui mercati, rendendolo tangibile. La stessa interpretazione viene resa dai designer con il tacco nel DNA aziendale: per le donne che non vogliono rinunciare ad una certa levatura e non percepiscono le altezze come sfoggio di uno status, il dictat è stabilità. Alla “ballerina rialzata” si contrappone quindi il tacco largo, solido, reso più brioso da stampe e applicazioni ma, pur sempre, di reminiscenza anni ’70, perfetto per contrastare il clima di incertezza generalizzata e procedere con passo sicuro. L’indagine sociologica del legame indissolubile tra clima politico-economico e tacco, trova terreno fertile nella Francia del 1600. Prima di allora il tacco aveva solo funzioni pratiche: i Samurai lo indossavano per non rimanere impantanati nelle risaie, le prostitute veneziane per non sporcare gli abiti camminando lungo strade-latrine. Luigi XIV di Borbone, il Re Sole, è il primo a trasformare il tacco nel più ostentabile sinonimo di stile, aristocrazia e potere economico. Si tratta di un sovrano alto appena un metro e mezzo, orgoglioso delle proprie gambe, che impone a tutta la Corte la scarpa con il tacco. Per sé, sceglie calzature laccate di rosso (il colore più raro e costoso dell’epoca), alte anche 20 centimetri. L’espressione “Alta Classe” viene coniata proprio per lui e, ancora oggi, stilisti contemporanei come Christian Louboutin, colorano di rosso la suola delle loro décolleté per renderle visivamente più preziose. Durante la rivoluzione francese, con il popolo affamato e un insanabile divario tra le classi sociali, tutto cambia. Nel 1789, gli emblemi della vita sfarzosa e frivola che si consuma a Versailles salgono sulla ghigliottina assieme a Maria Antonietta (proprietaria di 500 paia di scarpe) e a sua Maestà il tacco, “decapitato” da un colpo d’ascia mentre la testa della regina rotolava tra le mani del popolo acclamante. Passarono circa 100 anni prima che il tacco facesse nuovamente capolino. La rinascita industriale e l’ascesa del capitalismo di fine ‘800, ridanno alla società borghese un livello di benessere dimenticato ma, allo stesso tempo, spingono il “sesso debole” a chiedere maggior risalto. Simbolo di questa lotta è il movimento delle Suffragette, le attiviste che si battono per ottenere il voto universale e l’emancipazione femminile. Le loro scarpe basse, non solo consentono lunghe marce e rapide fughe, ma regalano la stessa andatura (sociale e non) del rivale: il maschio. La seconda Guerra Mondiale segna un’altra importante tappa nella storia del fattore T. Le donne (si calcola 7 milioni) sostituiscono gli uomini nelle fabbriche indossando scarpe da lavoro. Chi rimane a casa fa la fortuna dei maestri calzolai. In questi anni, Salvatore Ferragamo, utilizzando i pochi materiali reperibili e non necessari al fronte, inventa plateau e zeppa in sughero. Le sole ad opporsi a queste stravaganze sono le mogli dei gerarchi fascisti che si mortificano indossando abbigliamento e stivali militari, come descrive Camilla Cederna nell’articolo intitolato “La moda nera”, del 7 settembre 1943. L’indotto legato alle innovazioni nel mondo delle calzature è notevole e risponde tangibilmente alla necessità sociale di “recupero-innovativo” dei materiali. Nel 1953, sempre Ferragamo, inventa il moderno tacco a spillo: rivestendo di stoffa o pelle i bossoli in acciaio dei proiettili dona vita, e senso, a materiali di scarto conferendo loro il significato simbolico di rinascita rispetto agli orrori della guerra. I tacchi, indossati dalle prosperose Pin-Up, diventano metafora non solo dell’uscita dalla crisi bellica, ma anche di un nuovo ottimismo che aprirà le porte a decenni di benessere. Il fashion system, multiforme universo semantico, vede nell’arbitrarietà della moda la propria grammatica sociale e, nell’abbigliamento, la lingua corrente utilizzata dal popolo. Gli anni ’80 sono caratterizzati da un’economia arrivista e dall’avanzata dell’esercito delle donne manager che trovano nel tacco l’unico alleato alla loro femminilità, mortificata dallo stile mascolino dei tailleur. Ad ampie falcate si arriva al 2007, anno della recessione. Le spese, anche per i beni di prima necessità, sono al minimo. La dimensione onirica viene spazzata via dalla concretezza ed è in questo momento che un visionario, che risponde al nome di Alexander McQueen, e la sua musa, Lady Gaga, rispolverano il compito della moda: far sognare e offrire un’alternativa al quotidiano. Presentano l’Armadillo: scarpa futuristica, immaginifica, folle, costosissima, alta 30 centimetri. Il tacco alto, come l’araba fenice, sopravvive sollevandosi da sé e indicando la strada verso la ripresa economica che oggi stiamo iniziando a percepire.

martedì 6 marzo 2018

Sciogliti i capelli e scegli chi essere

Tolgo le scarpe e mi sciolgo i capelli. Mi abbandono sul divano e guardo la cucina davanti a me. Non è la cucina ciò che sto guardando. Devo smettere di prendermi in giro. E' un frangente della mia vita che si sta ricolorando. Sta cambiando forma e profumo. Sta cambiando me. O sono io ad essere cambiata senza nemmeno avere aveuto il tempo di rendermene conto. 13 Maggio 2016. Fanculo. Ho girato attorno alla Luna e l'ho guardata negli occhi. Poche ore dopo avrei capito che non è una cosa da fare. Che la natura non si sfida e che le cose, se ti lasci andare, le senti prima che ti accadano e hai margine. Ne hai a bizzeffe. Hai margine. Siamo animali ma ce ne dimentichiamo. Siamo istintivi ma vogliamo lasciare alla mente il potere di comandarci. Io quello sguardo non lo dimenticherò mai. Mi hai perforato il cranio. Hai letto dentro di me, mi hai parlato senza dire una parola e io, pur di non cedere alla consapevolezza di ciò che stava succedendo, di ciò che tu disperatamente mi stavi dicendo, imponendo, pupilla nella pupilla, mentre fuori iniziava a svegliarsi quella stronza della Primavera e l'aria si stava scaldando e tutto si prendeva beffa di noi...ecco in quel momento tutto nostro, pur di resistere e di dare retta alla mia mente, non ho pianto. Non mi sono lasciata accarezzare dal tuo addio. Ho resistito papà. Stupida. Vigliacca. Le emozioni vanno vissute. Tutte e sempre. Non vanno mostrate, certo, quello no...quello me lo avete sempre insegnato...ma vanno vissute. Io e te sappiamo cosa mi hai detto in quei 15 secondi infiniti di occhi-negli-occhi. Di vita vs morte. Di me e di te. Ciò che ci siamo detti nella quiete di quella asettica stanza finestrata che ti avrebbe protetto ancora per una notte, non troverà mai voce perchè le emozioni non devono parlare. Però papà...papà...se tu adesso fossi qui. Se quello sguardo potesse ancora per qualche secondo incrociare il mio, sarebbe capace di arginare e al contempo di guidare, di mettere tutto in ordine, come solo Mary Poppins (e tu) sapevate fare. Lei con la magia. Tu con l'amore. Mi hai insegnato a non cedere alla menzogna. A non tradire. A camminare con dignità. Ad amare ciò che si fa. Mi manca la tua voce e il buffetto che mi davi sullo zigomo ogni volta che mi vedevi. Lo detestavo allora...ma adesso? Adesso ricucirebbe tutto. Impasterebbe la mia paura alla tua serenità. Riparerebbe le ferite della pelle lacerata dal freddo dell'umanità e mi farebbe tornare bimba. Non riempire la vita di attimi, ma gli attimi di vita. La vita è lunghissima e dolorosa se la sbagli, se il sacrificio prende il sopravvento, se la ragione diventa la tua guida, se metti i se accanto ai ma e li leghi con il "avrei potuto". E' un volo con salto carpiato, un'esplosione di gioia capace di ridurre in polvere il più granitico dei problemi se condotta con la testa sulle spalle...ma con il cuore a dettare la via. E adesso mi alzo da questo divano che comincio ad avere bisogno di mangiare qualcosa. I wish nothing but the best...for me.

domenica 11 agosto 2013

In riva al mare

Oltre i salti di roccia, sulla parete fredda, a strapiombo, il corpo sale lento, si trascina come un vecchio cane al guinzaglio. È la testa che lo guida. Un appiglio dopo l'altro i pensieri si fanno leggeri fino a scomparire. A quel punto i muscoli si tendono, l'adrenalina trova la sua strada ed esplode come una mina. La mente perde supremazia e segue docile come una corda... Devo alla montagna i più insperati incontri con creature degne del titolo di "vostra altezza", con decisioni lucide e fredde, con la sconsideratezza dell'animo e...con la sua infinita libertà. "Pensieri a -2000 metri"

mercoledì 27 marzo 2013

show off

ore 22.22 del 27 marzo 2013... nemmeno l'aria mi entra nei polmoni. Sono invisibile, trasparente, leggera, impalpabile e...muta. Praticamente imbattibile. Mai, nè ora nè mai cederò a questo vuoto d'aria e al buco che sta cercando di scavarmi dentro. La faccia si scioglie? Il cuore si apre. Non c'è niente da temere..sono solo stanca. Stanca da morire. Vorrei che la mia libellula fosse qui per dirle questo, per chiederle "aiuto", perchè io non so urlare e ora non riesco nemmeno a parlare, le parole si strozzano in gola e il respiro muore tra le ciglia. Quando la pioggia cade sulla neve non fa rumore e non lascia traccia. Ma gela...e le toglie una delle caratteristiche che la fanno amare ai bambini: la sofficità. Eppure è sempre neve....Eppure è solo pioggia. Qualche secondo...basta qualche secondo...il mio respiro tornerà regolare...qualche secondo solamente. "muoviti come una farfalla e pungi come...come un'Api"...

il tempo ai giorni d'oggi....cervelli e nuovi media a confronto

http://www.tvavicenza.it/a_ITA_1751_1.php